Italiani insoddisfatti del proprio lavoro

5 Agosto 2024

I risultati dell'indagine di PwC "Hopes and Fears Global Workforce Survey" che ha analizzato atteggiamenti e comportamenti di circa 56mila lavorati in più di 50 paesi.

In Italia solamente il 54% delle persone che lavorano (il -6% rispetto al dato globale) sono soddisfatte del proprio impegno, ma non chiedono ne una promozione ne un aumento. Il 22% dei lavoratori italiani cambierebbe lavoro nei prossimi 12 mesi, contro il 28% a livello globale (dato più alto rispetto al periodo delle Grandi dimissioni).

Questi sono solo alcuni dati dell’indagine di PwCHopes and Fears Global Workforce Survey” che ha analizzato gli atteggiamenti e i comportamenti di quasi 56mila lavoratori in più di 50 paesi.

Stipendio e promozioni non bastano più

I dati italiani si allineano a quelli globali nell’indicare come importante una retribuzione adeguata (88% in Italia e 82% a livello globale) e l’appagamento (81% contro 74%) ma, a differenza dei lavoratori nel resto del mondo, per gli italiani ha grande peso il fatto che il contesto lavorativo sia sfidante (81% in Italia e 55% a livello globale) e collaborativo (75% contro 63%).

Dall’indagine emerge un disallineamento tra quello che viene valutato come importante e l’esperienza effettiva. Nonostante l’adeguata retribuzione sia in cima alla lista delle priorità, soltanto il 66% definisce il proprio lavoro appagante e il 62% adeguatamente retribuito.

Solamente il 27% degli italiani che lavorano (contro il 43% a livello globale) si dichiara propenso a chiedere un aumento di stipendio nel prossimo futuro.

Un talento su due cambierebbe lavoro

In Italia, il 41% dei dipendenti afferma che l’opportunità di imparare nuove competenze influisce sulla propria decisione di cambiare lavoro (contro il 47% della media globale), per le generazioni più giovani (tra i 18 e i 27 anni) l’importanza aumenta al 51%.

Tuttavia, la percezione delle competenze richieste dal mondo del lavoro possano cambiare radicalmente è molto inferiore (almeno il 12% di differenza) rispetto alla media globale in ciascun settore di attività, fatta eccezione per la Pubblica Amministrazione.

I dati emersi dal PwC’s 2024 AI Jobs Barometer mostrano come nei settori a maggiore esposizione dell’Intelligenza artificiale il cambiamento nelle competenze richieste stia avvenendo il 25% più velocemente che nei settori meno esposti. Alcune delle competenze più richieste sono quelle che non possono essere facilmente svolte dall’AI, mentre al contrario sta calando la domanda di skills che possono essere coperte con questa tecnologia.

Invece, risulta più accentuata rispetto alla media globale la percezione dello skills mismatch: il 55% degli intervistati italiani non ritiene il proprio profilo completamente in linea con le competenze richieste dalla mansione svolta (contro il 41% della media globale), un disallineamento che risulta più accentuato per i lavori manuali (70%) e nelle fasce di lavoratori più giovani (il 61% per la GenZ) rispetto agli over 60 (43%),

Le potenzialità dell’AI sono ancora inespresse

In Italia, solo il 5% delle imprese con almeno 10 collaboratori utilizza tecnologia basate sull’AI, contro una media europea dell’8% e solamente il 4% dei lavoratori intervistati dichiara di utilizzare quotidianamente l’Intelligenza artificiale Generativa (GenAI), contro il 12% a livello globale.

Guardando poi lo spaccato generazionale, si può notare come l’utilizzo diminuisce con l’aumentare dell’età: circa il 62% della GenZ ha utilizzato la GenAI almeno una volta negli ultimi 12 mesi, una percentuale che scende al 42% per la GenX e al 25% per i Baby Boomers.

Alla base di questo mancato utilizzo c’è, in primo luogo, la percezione che il proprio lavoro non offra opportunità di impiego dell’AI (27% in Italia con il 33% a livello globale). Ma se nel resto del mondo i principali ostacoli sono la mancanza di competenze specifiche, in Italia emerge soprattutto una mancata percezione dei potenziali benefici della propria carriera.

Meno della metà degli intervistati, poi, crede che l’uso dell’Intelligenza artificiale possa migliorare la propria operatività in termini di efficienza (47%) e riduzione del carico di lavoro (40%), rispettivamente 14% e 10% in meno rispetto al dato globale.

I dati emersi da questa analisi mostrano invece che i settori a maggiore esposizione dell’AI (servizi finanziari, IT e professionali) stanno sperimentando una crescita della produttività quasi 5 volte più veloce rispetto ai settori a minore esposizione.

In generale, sia a livello globale sia in Italia, i vantaggi percepiti superano i rischi. Tuttavia, globalmente, l’entità di questa percezione è più elevata rispetto al dato italiano: “Un primo banco di prova per la leadership sarà la complessità introdotto da innovazioni come l’Intelligenza artificiale e GenAI“, spiega Riccardo Donelli, partner PwC Italia Workforce Strategy.

Come evidenzia il PwC AI Jobs Barometer, basato su un’analisi di oltre mezzo miliardo di annunci di lavoro a livello globale, i settori maggiormente esposti all’AI stanno sperimentando una crescita della produttività del lavoro significativamente superiore rispetto ad altri settori. Questo conferma che l’Intelligenza artificiale non solo supporta le decisioni umane, ma può anche rivoluzionare il modo in cui le aziende operano, creando nuove opportunità di valore“.

La workforce è pronta al cambiamento

Dall’indagine emerge come, a livello italiano, la tendenza sia quella di essere più moderati nel valutare l’impatto trasformativo di elementi come il cambiamento tecnologi, i conflitti geopolitici o il cambiamento nelle preferenze dei consumatori. In particolare, le maggiori discrepanze rispetto al dato globale sono state rilevate in merito al cambiamento tecnologico (37% contro il 46%) e ai cambiamenti nelle regolamentazioni governative (35% contro 43%).

La GenZ percepisce maggiormente la probabilità di cambiamento, soprattutto in relazione a conflitti geopolitici (43%), all’innovazione tecnologica (41%) e al cambiamento climatico (40%). Il 61% dei CEO italiani sono più propensi dei lavoratori a intravedere nella digitalizzazione un importante driver del cambiamento nell’immediato futuro (contro il 56% del livello globale).

Nonostante il 42% (contro il 53%) degli intervistati abbia risposto di sperimentare troppi cambiamenti nello stesso momento, quasi il doppio (78%) si dichiara pronta nell’adattarsi a nuovi metodi di lavoro. Il clima di ottimismo sopperisce pienamente ai timori espressi da alcuni in merito alla sicurezza del proprio lavoro (35%) e ad uno spirito avverso ai continui cambiamenti, ritenuti incomprensibili (36%).

Ancora una volta, il gap generazionale evidenzia le generazioni più giovani come le più entusiaste per le opportunità di apprendimento e crescita (65%).

Il ruolo della leadership

Le evidenze emerse dalla 27ma Annual Global CEO Survey sono corroborate dai dati raccolti tramite la “Hopes and Fears Global Workforce Survey”. Solo il 55% dei rispondenti italiani valuta positivamente la leadership della propria azienda in termici di:

  • comunicazione
  • competenze
  • fiducia
  • equità
  • tutela del benessere
  • valorizzazione dei dipendenti (la media globale è del 67%)

Rispetto alla media globale (77%), in Italia l’11% in meno si sente partecipe della realizzazione degli obiettivi di lungo termine dell’azienda, segnando una partecipazione al futuro aziendale meno marcata. Un fattore determinante per la percezione di soddisfazione dei dipendenti è la consapevolezza di essere parte attiva e integrante di un progetto comune.

Tra i cambiamenti che li aiuterebbero a performare meglio, il 49% del lavoratori italiani ha indicato un maggior riconoscimento del proprio contributo da parte della leadership come terzo fattore più importante dopo una retribuzione commisurata alla propria performance e una progressione nella carriera e, prima di un migliore equilibrio tra vita personale e professionale e della dotazione di nuovi strumenti e tecnologie.

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