Che cos’è il Quiet Quitting
Consiste nel lavorare nei tempi e nei modi indicati dal contratto, senza fare straordinari o assumersi responsabilità straordinarie e, nel periodo post-pandemia, questo fenomeno è sempre più visibile
Lavorare il necessario per non perdere il posto di lavoro, rifiutarsi di fare straordinari, aderire a progetti e assumersi responsabilità che non rientrano strettamente nell’orario di lavoro e nelle mansioni indicate sul contratto.
È un fenomeno sempre più diffuso, che sui social è diventato virale negli ultimi anni con il nome di Quiet Quitting, ovvero “abbandono silenzioso”. Solo su TikTok, l’hashtag #quietquitting ha raggiunto in poco tempo oltre 8,2 milioni di visualizzazioni. Non si tratta di un nuovo concetto, ma nell’era post-pandemica è un fenomeno sempre più visibile e sempre più stabilmente al centro del dibattito sul mercato del lavoro.
Eppure, sembra che – almeno negli Stati Uniti, dove il dibattito è in una fase più avanzata rispetto all’Italia – il fenomeno non sia ancora stato ben compreso. In un sondaggio svolto da YouGov su un campione di impiegati, il 56% degli intervistati non aveva mai sentito parlare di quiet quitting e anche tra il restante 44% c’erano opinioni discordanti sul significao dell’espressione.
Chi pensava che descrivesse il minimo indispensabile del lavoro da svolgere, chi che si riferisse al rifiuto di svolgere attività extra compenso, chi addirittura che fosse l’atto di dare le dimissioni senza comunicarlo al datore di lavoro.
Quiet Quitting: le cause
La verità è però che il quiet quitting è una vera e propria controtendeza rispetto alla hustle culture, che è il mito di matrice statunitense secondo il quale le persone dovrebbero dedicare tutta la propria vita al lavoro. Un mito che, secondo diversi esperti, causa il cosiddetto fenomeno del burnout, l’esaurimento.
Le cause sono diverse. Innanzitutto, è indubbio che gli anni della pandemia hanno portato molte persone a valorizzare aspetti della propria vita esterni al lavoro. In secondo luogo, temi come burnout, salute mentale e stress patologico da lavoro sono sempre più diffusi nel dibattito pubblico.
C’è poi un’altra ipotesi piuttosto diffusa, portata avanti dalla Harvard Business Review, secondo la quale l’abbandono silenzioso non riguarda tanto la volontà dei dipendenti di lavorare di più e di meno e con maggiore o minore coinvolgimento, quanto la capacità di un manager di costruire un rapporto con gli impiegati che non li induca a non vedere l’ora di uscire dall’ufficio.
Secondo il report 2022 State of global workplace di Gallup – che ogni anno fornisce dati di vario tipo sul lavoro in giro per il mondo – solo il 14% dei dipendenti in Europa può essere ritenuto davvero coinvolto nella propria attività lavorativa. La tesi della Harvard Business Review è quindi che la diffusione del fenomeno in questi mesi ha molto a che vedere con un fallimento dei manager nel conciliare gli obiettivi aziendali col benessere individuale e collettivo dei propri dipendenti.
Si tratta di un fenomeno che sarà probabilmente sempre più diffuso, anche perché è particolarmente diffuso nella Generazione Z, per la quale non sembra essere il denaro la priorità sul lavoro quanto un equilibrio tra lavoro e vita privata.